Nell’articolo dedicato a Herb Ritts pubblicato lo scorso 2 Gennaio, ho azzardato definire la sua ritrattistica come un felice e patinato omaggio all’arte classica.
Strutturalmente ho constatato che la sua costruzione tecnica, inizialmente priva di artifici, si basa su un bianco e nero austero e plastico, scolpito nei corpi perfettamente incastrati nello spazio contemporaneo che si riduce a un anonimo piedistallo, dove muscoli definiti da violenti e decise luci si incastrano perfettamente tra il vuoto dello spazio relativo e l’idea di una bellezza che, come una pagana scultura destinata al più grottesco e fittizio dei templi moderni, si completa nelle scalfite emozioni dei volti. Trovate l’articolo QUI
Ritts si avvale di tutti gli strumenti che l’estetica moderna gli fornisce per indagare (prima) l’identità umana e configurarne (subito dopo) l’ideale, mediante l’impressione, che egli sviluppa e porta a compimento nell’esaltazione del ritratto.
Quando ho sostenuto che
“… L’emozione per Ritts non è mai errata, giusta, bella o brutta; è una condizione di rilassata verità. Egli dimostra un’affine sensibilità al filosofico approccio operativo dell’arte greca, a volte la emula riproponendo nei suoi modelli le antiche bellezze austere ed eleganti, altre volte ne desume il modello per portare a compimento la sua ricerca…”
mi riferivo al palese leit motiv che veicola tutta la sua produzione, non solo nel campo della moda dove il fotografo fa scuola. Il suo stile è un’eccellenza che diventa ora classico ora manuale: tutta la sua opera è più un cammino personale di analisi antropologico/emotivo, che una performance artistica donata all’industria dei media. Quella che alla massa arriva come carta patinata erotica, seducente, audace e tentatrice, cela una profonda celebrazione dell’emozione per eccellenza, disegnata e messa in luce mediante la bellezza, la stessa bellezza fisica che si fa protagonista e manifesto di una grazia più aulica e incorruttibile di quella della materia. E’ una proclamazione di estasi e unicità rappresentata e ostentata da ammalianti volti dal centrifugo carisma, le grandi star del cinema, della musica, della cultura desunta da altrettante culture, disordinatamente sparse per il mondo ma ordinate nella conoscenza popolare, quella più alta, propagandata dai media.
La nobiltà estetica di Herb Ritts, abbatte il muro del tempo e il pregiudizio moderno sulla validità del bello moderno, il Glam, riconfermando le giuste intuizioni delle adiacenze classiche, che ripercorre in tutta la sua vasta produzione.
Se il punto d’arrivo è l’emozione, quello focale è il carattere.
Ritts è spesso scelto (e talvolta sceglie) dalle più grandi celebrità dell’epoca contemporanea, per raccontarle, rappresentarle.
Egli fa di più, le sviscera nell’intimo, le mette a nudo, fonde persona e personaggio depurando le due anime dal sovrappiù decorativo che spesso non forma ma deforma.
Di quei celebri nomi coglie forze e fragilità, feste e lutti, vittorie e sconfitte, i si e i no che tra sorrisi e lacrime hanno forgiato i volti della mitologia moderna messa al servizio del Global.
Vi avevo promesso che la seconda parte dell’articolo sarebbe stata un’analisi del pensiero fotografico di Ritts (la ricerca dell’emozione attraverso la fisiognomica) ricercando tale felice risultato non più nella moda ma nella sua amplia produzione legata al mondo dello spettacolo e dei volti cardine della cultura popolare.
In questo senso, diciamo POP, Ritts ha dato il meglio di sé, amplificando gli echi emotivi mediate volti medium che, per carisma e notorietà, si sorreggono da soli su una sovrastruttura ben consolidata nell’immaginario collettivo.
Ritrarre una rock star come un divo del cinema, per Ritts significa manifestare quello che è un doping dell’anima: l’emozione si fonde col carisma che un nome, un volto, a volte un prodotto, sintetizza nella parabola del fanatismo e del divismo.
Un lavoro facile all’apparenza, attribuire bellezza a chi della bellezza ne ha fatto la propria storia come a chi appare bello per grazie concesse dal mitismo dei media.
Madonna venerata come una Madonna, quanto di più facile per definire stupenda una sua foto; il Dio Jackson che ti scruta dalle tenebre dell’inaccessibile, quanto di più ammaliante nella sua impossibilità immortalata dal maestro.
Una schiera di miti che censura la leggenda, si sposta dal riflettore dell’impeccabilità, appare il bello di Ritts, quello che può morire se gli rechi il male.
Appare l’uomo, il suo carattere, tessuto di una trama emotiva che è racconto e dichiarazione allo stesso tempo.
E’ impossibile raccontare ogni singolo scatto di ogni singola personalità elogiata da Ritts.
Mi sono dilettato nello stilare una speciale top ten che proprio “ten” non è, a sono dodici scatti, dodici nomi che hanno scritto ognuno a modo proprio una pagina impressiva del nostro tempo.
I dodici apostoli, così mi piace chiamarli, dodici leggende, dodici persone, dodici storie summa di sovrumana umanità. Un paradiso leggendario che Ritts ha depurato del suo al di là per umanizzarlo così come il retroscena di ogni apparenza sarebbe se non avessimo inventato la vana speranza di essere un trucco.
Quella che segue è una speciale dimostrazione della straordinaria attitudine di Ritts a rendere meravigliosa ogni emozione umana facendoci dimenticare la mitologia moderna: nelle sue fotografie la leggenda ritorna uomo, la grandezza del successo lascia spazio alle piccole camere delle intime emozioni. Ancora una volta l’eroe è la virtù, la bellezza un veicolo.
A voi i 12 apostoli.
12 MIKHAIL S. GORBACHEV

Ultimo segretario del partito Comunista dell’Unione Sovietica, premio nobel per la pace, grande riformatore e leader politico tra i protagonisti della fine della guerra fredda tra USA e URSS, Gorbachev entra di diritto in questa lista speciale con il merito (di Ritts) di un’austera e plastica dignità elegantemente ostentata.
Tradizione e severità delineano la serietà dell’ex Presidente dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Questa foto meriterebbe forse un posto più in alto, se non fosse che la classica posa da padre della sposa rischia la banalizzazione del grande Mikhail. Tuttavia è degna di nota la glaciale dignità che si stagna nel volto del leader, umanissimo e di una tale eleganza da perdonargli quell’imbarazzante mano in tasca mentre un pugno chiuso ci ricorda che il freddo (della guerra) lo si combatte più con la parola che con le armi.
Poteva essere un pessimo ritratto di una banalità impressionante, Ritts ci ha costruito sopra un manifesto di umana politica.
Monumentale.
11 GLENN CLOSE

Sunset Boulevard è un musical del 1993 composto da Andrew Lloyd Webber su testi e libretto di Don Black e Christopher Hampton basato sul film di Billy Wilder “Viale Del Tramonto”.
La produzione californiana ci ha donato una Glenn Close nei panni di Norma Desmond difficile da dimenticare.
Questa foto merita di essere ricordata per il grande lavoro di dualismo svolto da Ritts: attore e personaggio stigmatizzati nella coesistenza che si manifesta in contemporanea.
Si assiste a una trans-uguaglianza di Close/Desmond di intenso impatti visivo ed emotivo. La Close umana e la Close personaggio, isterica quanto drammaturgica, manifesto ingannevole e accattivante dell’arte teatrale ridotta a business di alto rango.
Ritts coglie la luce della grande attrice con una tale umanità, tra malinconia e disperazione femminile, debolmente cita le estetiche solitudini francesi di Marcel Marceau. E’ il manifesto per eccellenza del compimento dell’attore, la scena si costruisce sul volte dell’attrice che non è più un nome né un copione. Ma atto, sul palco come nella vita.
Teatrale.
10 DIZZY GILLESPIE

Trombettista, pianista e compositore del più gaudioso Jazz statunitense, a Gillespie dobbiamo rendere omaggio per averci concesso lo sculettamento di metà Novecento grazie al suo bebop prima e al jazz moderno dopo.
Allegria in musica, sempre colta e democratica, ha messo d’accordo tutti anche nei tempi dell’America più antipatica, razzista e snob.
Ormai Dizzy non c’è più da ben 23 anni, ma si sa, l’arte non muore, quella felice vive ancora di più.
Ritts ci aiuta a ricordarlo con un ritratto straordinario dal poetico sapore chapliniano. La consistenza della musica e del suo strumento si forma sul suo volto come un talento divino che ha scovato, in Gillespie, una scelta.
E’ un ricordo pieno di anima, un bianco e nero così colorato da rendere plastica l’aura positiva del compositore. Quelle guance gonfie serrate per trattenere il fiato ci dicono che quel mondo di suoni, ritmi, colori, calori, caraibiche e lontane emozioni, sono lì… non se ne vanno; forse non verranno mai più fuori ma a noi piace restare a guardare sperando che il caro vecchio Dizzy apra la bocca e si faccia una risata.
Mozzafiato.
09 DUSTIN HOFFMAN

Un po’ come per Glenn Close e quella trans-uguaglianza che tanto ci piace, con Dustin Hoffman si azzarda ancora di più
Siamo nel 1996 e Ritts ritorna a giocare sulla sensibilità della fascinosa lotta persona/personaggio. Questa volta, però, l’attore non gioca con il suo alter ego ma cerca rifugio nell’altro davvero esistente. Un salto di ego in ego.
Persona come supporto alla personalità e non viceversa. Hoffman veste i panni di Salvador Dalì, supporta la trascendentale euforia dell’artista spagnolo e ne elogia gli eccessi.
Stravaganza e lusso, la personalità di Dalì si scrive nell’altrettanto dorata personalità di Hoffman ed è una gioia per gli occhi guardare questa foto puramente geniale nella sua semplicità. E’ la festa del carattere, un bellissimo carattere.
Simbolista.
08 TONY WARD
Se nasci in California e ti chiami Tony Ward non puoi fare altro che denudarti e lasciarti ammirare.
Il modello/artista californiano ci regala da decenni foto e video fantastici dove non regala nulla all’immaginazione. Mai volgare e mai pornografico, ma quasi. La sua audacia rende atipica la passerella sulla quale sfila. Basta fare un giro su google per rendersi conto di cosa sto parlando.
Ward non è un attore hard ma tutto quello che fa è veramente forte, nella fisicità come nella sessualità, nella carriera come nella vita privata; sta a noi decidere se ammirarne i muscoli nudi o bacchettarlo perché ci ha fatto venire i calli alle mani con le pubblicità per Calvin Klein.
Ritts compie un miracolo con lui. Allontana da Tony ogni pregiudizio e qualsiasi forma di accusa morale; rimane un uomo bellissimo, nudo, eppur vestito di sentimento.
La costruzione del classicismo tanto cara al fotografo si compie sul modello che, da feticcio sessuale diventa simbolo di bellezza umana.
Solo Ritts poteva desumere l’emblema della virtù da un corpo prestato alla semi-pornografia occidentale.
La foto “Tony With Shadow” è di una bellezza metaforica impressionante. Un corpo statuario, bellissimo, greco, nobile, colma uno spazio senza definirlo ma lo costruisce grazie alla plasticità di un dormo severo ed eroico.
La virtù simboleggiata dal corpo si sposa con la sua ombra, che nello spazio scrive e chiarisce l’aspetto più umano, la silhouette del volto. Il fotografo/maestro non poteva rappresentare in modo più nobile il potere dell’emozione sulla caducità del pregiudizio morale.
Eccitante.
07 BILL CLINTON

Il 42° presidente degli Stati Uniti ce lo ricordiamo più per i giochini sotto la scrivania della casa bianca che hanno dettato legge sui tabloid di tutto il mondo che per i pensieri politici che lo hanno portato a essere l’uomo più potente del mondo per 8 anni.
Tuttavia, inspiegabilmente, contro ogni severo perbenismo americano, a me Clinton non suscita particolari antipatie. L’America ci ha regalo incubi diplomatici peggiori.
Questo ritratto merita di stare nella lista per la struggente quanto veritiera umanità immortalata da Ritts. C’è tutto in questa foto. L’uomo potente, sicuro, ferito, umiliato, creduto e screditato.
Il profilo rivolto verso un infinito probabile, probabilmente finito come il suo mandato che scadrà l’anno dopo la realizzazione di questa foto, è costruito con una sola debole luce laterale che impone i caratteri espressivi di Clinton entro uno palcoscenico rivelatore reso ancora più drammatico dalla silenziosa alienazione dell’uomo, forse consapevole, della propria condizione colpevole e corrotta.
Tuttavia ne viene fuori il ritratto di un eroe, quello umano, che ce l’ha fatta a non darla vinta ai guai causati dalla parte peggiore di sé.
Caravaggesco.
06 MICK JAGGER

Poco da dire su questa foto, parla da sé.
Mick Jagger l’artista, l’icona, la trasgressione e l’eccesso. Una delle personalità del XXI secolo che non ha bisogno nemmeno di essere mostrata per coglierne la forza caratteriale.
Jagger è icona, non solo del Rock propagandato con i Rolling Stones; è simbolo e contenuto di trasgressione e libertà.
Ritts rappresenta alla perfezione la realtà di Jagger, quella talmente impressiva e impressionante da non curarsi se persona e personaggio siano in fondo la stessa cosa.
Né un volto né un marchio, l’emozione va oltre il carattere fisico, forse è sbagliato parlare di virtù, ma in questo caso è superfluo ogni elemento fisiognomico; basta guardare quel corpo esilmente logorato da felici droghe e il luccichio di quel MICK sul petto che manda a fanculo tutti.
E’ lui e basta.
Generazionale.
05 MICHAEL JACKSON

La grande occasione mancata.
Quando ti ricapita di essere scelto dal Re del Pop per realizzare la promozione della sua ultima fatica musicale?
L’occasione è lo shooting promozionale per “Dangerous” nel 1991. Michael Jackson è stanco di quell’immagine vergine e disneyana che tanto piace ai teenager di tre quarti di mondo conosciuto. Bisogna cambiare trucco. La pelle è già mutata a causa della vitiligine, il resto è più deformato dai media che dall’artista stesso.
Ma essere l’uomo più popolare della storia e l’artista con più aspettative delle sacre scrittura, metterebbe in difficoltà qualsiasi art director che si rispetti.
Ritts gioca male le carte senza sbagliare il tiro.
Che Jackson non fosse un ribelle ce lo ricorda la sua biografia parecchie volte, soprattutto quando si tratta di difendere la propria dignità. Un missionario mal desunto dalla post golden age, capace di miracoli musicali e visionari rivoluzionari, fuori dai registri della segregazione e della politica. Se c’è un merito in lui, al di là di quelli immensamente ricordati dalla storia POP, è quello di aver alzato il livello dell’arte dell’entertaiment attraverso una comunicazione di massa impeccabile e maniacale. A Ritts invece spetta un altro merito, quello di aver finalmente dato una sessualità a Michael.
Tolte le giacche fittizie e plastificate, Herb fa indossare a Michael una bella canotta bianca che ci ricorda una bomba sexy che lo stesso Ritts ha contribuito ad alimentare, l’american gigolò Richard Gere.
Con Jackson però è diverso. Di sessuale sembra non esserci granché; prende allora spazio una torbida androginia che sembra implodere. Finalmente si rompe il muro della repressione di quel mondo troppo finto per essere vero.
Un Michael con i capelli stirati, trucco da perfetta top model americana, l’eccesso bisessuale quanto il manifesto del desiderio master, fetish e sadomaso. Dalle canotte di Gere si passa all’uniforme attillata che ci da prova che le forme aliene di M.J. sono più felici in una camera di torture erotiche quanto quelle di un chirurgo estetico.
Ritts poteva osare di più, seguendo la storia dell’immagine della Pop Star ci rendiamo conto come il volere decisionale di quest’ultimo abbia avuto la meglio sul potere artistico del fotografo.
Manca l’attitudine all’osare per portare a galla l’emozione. Tuttavia ciò che viene fuori è il carattere, quello più umano e adulto, che lo stesso Jackson ha accuratamente tenuto a bada non per ingannare ma per non deludere le famigliole che, in migliaia, accorrono ai suoi concerti con pargoletti a seguito.
Finalmente anche i fans posso cominciare ad afferrarsi il pacco, non per emulare la coregrafia di BAD ma per provare la vera gioia oltre l’idolatria.
Dunque un Jackson torbido, quasi ad emulare i disordini e le angosce sessuali di una generazione stordita e disordinata; la sua nuova immagine è credibilissima, stupenda, misteriosa, occulta e attraente. Guardi quelle foto e scorgi il bambino che si mette in un angolino con il volto rivolto verso il muro, in punizione, per lasciare spazio alla maestra bramosa di nuove forme d’educazione.
La vera erezione è In The Closet, singolo estratto da Dangerous, con un bel featuring vocale di Stephanie di Monaco (citata nei credits dell’album come Mystery Girl), gioiosamente sostituita nel videoclip da una Naomi Campell arrapatissima, glamour,in stato di grazia.
Torna la canotta bianca, le nudità, il sudore, il deserto, il vuoto luminoso intorno…. E fanculo alle repressioni.
Il tradimento diventa un piacere, Michael e Naomi vengono disegnati da Herb Ritts come due sagome che si fondono in una totalità di genere che esplode nell’eros della danza e dell’educazione al coming out.
Dal sodalizio Jackson/Ritts mi aspettavo una bibbia di stravaganza, vista l’unicità della personalità e del carisma di M.J. che va molto oltre il visionario e il retorico. Rimane una bellissima parentesi di bisessualità pulita e glam, né sporca né porca.
Purtroppo la verginità (morale) di Michael verrà davvero compromessa solo qualche mese più tardi, ma quella è una brutta finta storia che la non ribellione di Michael mi chiede di non ricordare.
Tutto il resto è storia e sudore.
Torbido.
04 ELIZABETH TAYLOR

E’ il volto del Cinema per eccellenza. Parlare di Diva è riduttivo quanto definirla semplicemente donna.
Se l’idea di leggenda fosse una donna, avrebbe certamente gli occhi viola, unici e magnetici, di Liz.
Ritts ha realizzato un ritratto capolavoro innalzando Elizabeth Taylor sul podio delle eroine dell’era moderna.
Abolisce totalmente l’idea di icona, tipica del divismo di Hollywood e tassativa per mitizzare i suoi protagonisti.
Svanisce ogni idea di vanità, di trucco, di artificio. La scrittura estetica che veicola la bellezza nel passaggio dall’anonimato all’iconografia, in Ritts viene ribaltata e rovesciata e dall’iconografia si passa all’umanità come strumento narrativo.
Nel suo ritratto di Liz l’unica vanità è il volersi raccontare a cuore aperto; ancora una volta svanisce la maschera dell’estetica, affonda l’incorruttibilità dell’icona e affiora la potenza devastante della donna.
La fierezza di chi lotta e ama la vita senza mai metterla da parte, ecco l’eroismo racchiuso nel suo profilo. Dove la cicatrice sul capo, dopo un’operazione per la rimozione di un tumore benigno al cervello, delinea e incornicia la seria e contemplativa monumentalità di questa grande donna/coraggio che ci insegna l’inutilità della bellezza fisica quando è al servizio del solo compiacimento. Vince un’altra bellezza, la riconoscenza alla vita.
Raccontare la malattia ha un suo limite retorico a volte fastidioso e fazioso, Ritts invece ne trae spunto per donarci un esempio di dignità inaudito.
Esemplare.
03 RICHARD GERE

Tutto nasce da qui, che sia un caso?
Erotico e allo stesso tempo eroico, il lungo cammino della virtù emotiva ha, per Herb Ritts, una data: il 1978, anno in cui, il talentuoso fotografo californiano, realizza quasi per caso una serie di scatti in bianco e nero dell’aitante e “classicissimo” amico Richard Gere.
L’occasione è una gita nel deserto di San Bernardino. Ritts crea inconsapevolmente il mito di American Gigolò, a suo modo un eroe anche lui, moderno e sfrontatamente offensivo quanto la sua cultura corrotta e incoerente.
Mi domando davvero sia un caso o una grandissima botta di culo. Ma in questi scatti ci sono davvero tutti gli elementi dell’estetica occidentale che da quasi quarant’anni fanno da manuale a chiunque voglia ricreare il torbido mito dello sciupafemmine maledetto e sconfitto.
Ma il fotografo crea anche una firma sentimentale, la propria, inimitabile e da fuoriclasse, nell’elitario e snobissimo firmamento dorato della moda, quella milionaria, blindata, viziosamente hollywoodiana.
Gere è bellissimo in maniera direi oggettiva, eppure la valenza carnale si affievolisce in quella solitudine, il deserto, che ancora una volta ci ricorda quanto siamo umani, fragili e boni fino a un certo punto.
Tuttavia il podio se lo merita tutto, senza questo scatto tutto quello scritto prima forse non lo avremmo mai avuto. E poi c’è il mito, la leggenda, il cinema, le stelle e le strisce più incantevoli.
Roba d’altri tempi. L’emozione resta.
Classico.
02 JACK NICHOLSON


Si può avere una faccia inquietante e rassicurante allo stesso tempo?
Se parliamo di Jack Nicholson certamente si.
Se lo avete amato nelle inquietudini claustrofobiche forgiate da Kubrick con Shining, non potete che leccarvi le labbra alla vista di questi scatti del 1988, in cui Nicholson veste i panni di Jack Napier/Joker nel Batman di Tim Burton.
E’ una seuqenza al limite del sincopato schizofrenico, come il personaggio richiede, ma c’è di più. Nicholson manda a quel paese le buone maniere e ogni regola di igiene comportamentale.
Ne viene fuori una serie di prove fisiognomiche in sequenza dove seriamente ti domandi quanto fottutamente sia possibile che una persona e un personaggio possano essere così indefiniti quanto affini.
Una condizione, l’ironia della sorte, che Nicholson e Ritts conoscono benissimo, sarà per questo che il Jack/Joker piace (e ci piacerà sempre) tanto. Non ci sono filtri ne responsabilità, è un gioco visionario con la vita e con la morte, un’incuranza degli atti con la responsabilità delle conseguenze sempre in prima linea. Sempre sotto controllo.
Queste foto sono davvero la quint’essenza dell’iconografia hollywodiana. Si può esser folli senza diventar matti.
L’emozione? E’ una grande gigantesca d’ingrandimento sul ridere, all’inseguimento pigro della libertà.
Visionario.
01 MADONNA

