Ho sempre pensato che il teatro sia per eccellenza il luogo della fascinazione in cui il “logos” si appropria di corpi, e offre allo spettatore il piacere della visione di “pratiche alte e basse”. L’estetica dell’effimero si dispiega in epifanie sempre nuove, infatti non vi è mai uno spettacolo uguale all’altro se non forse nella struttura; apparentemente si ripetono le battute e i gesti, ma nel momento in cui tutto ciò accade ecco che si fa strada la seduzione della cancellazione. Le tracce si disperdono tra le quinte, tra le luci che si spengono lasciando il buio in cui dondolano simulacri fantasmatici che attendono in silenzio chi li animerà ancora e ancora, nella memoria di tutti coloro che fanno parte della macchina scenica. Nell’era moderna e contemporanea si tenta di fermare l’istante fuggevole di qual si voglia pratica teatrale con le foto o con i video; interviene quindi “la fantasticheria contemplativa liberamente vagante della riproducibilità tecnica” parafrasando il grande pensatore Benjamin. La bellezza seduttiva dell’obiettivo disperde il valore dell’unicità, ovvero la potenza dell’Aura, il valore dell’hic et nunc; attenzione, quando si parla di questioni teatrali i mezzi odierni restituiscono solamente una funzione illustrativa, simulano la memoria, racchiudono in uno scrigno un ricordo che cavalca l’onda visibile e invisibile del tempo e dello spazio che si rifrangerà nel mare della Storia.
Il rito del teatro si compie e si conclude in un cerchio infinito, ogni qual volta si varca lo specchio in cui i riflessi dell’Animus Anima si rincorrono eseguendo la sacralità della rappresentazione, è lì che sorge l’eterno dialogo tra Eros e Thanatos, tra “la presenza e l’assenza”; è il gioco seduttivo e perverso del prendere e dell’abbandono in cui ciascuna maschera invocata o evocata incontra l’altro da sé e lo restituisce all’altro attivando, nell’hic et nunc, una verità che sfiora e si immerge in tutti i registri degli archetipi che fanno parte dell’inconscio collettivo.
La verità degli archetipi in questa forma d’arte è affidata al testo drammaturgico prescelto, all’interpretazione dell’attore che è voce, corpo anima, e al deus ex machina ovvero il regista.
Questo paradigma è bene armonizzato in Gastone “L’Ultimo dei Belli”, piéce che fa parte del cartellone artistico del Teatro Tenda Zappalà di Palermo, per la regia di Franco Zappalà. E’ un omaggio al film omonimo che uscì nel 1958 diretto da Mario Bonnard che volle ispirarsi, per le vicende del protagonista, al grande Ettore Petrolini e alla famosa maschera che inventò, il ruolo fu affidato ad Alberto Sordi. Molte volte a teatro si replica il testo del fantasioso Petrolini ma in questo caso la maschera del seduttore decadente del novecento trasmigra “dall’immagine in movimento” per dirla con Deleuze, per rivivere prepotentemente sulle tavole di un palcoscenico che offre allo spettatore un piacevole spettacolo metateatrale.
Franco Zappalà effettua la regia di un’opera d’arte unitaria facendo attenzione alle dinamiche del teatro nel teatro; infatti, l’azione scenica, nel rispetto dell’evoluzione della narrazione, dei personaggi e dello spazio, si svolge su un doppio palcoscenico, il secondo si eleva dopo l’arco di proscenio e vi si accede con una piccola scala; escamotage di fine scenotecnica che permetterà al voyeur della platea di identificarsi con i frequentatori del Tabarin e di vivere l’attesa delle esibizioni dell’ultimo danseur mondein accompagnato dalla vedette di turno. Puntella la vicenda usando sapientemente la colonna sonora del film, composta dal grande A.F. Lavagnino, ed ecco che si compie la sutura tra la macchina attoriale e la macchina scenica: scorrono le note e il tableau vivant si compone. Fin dall’inizio la musica accompagna lo spettatore invitandolo ad entrare e godere di un salto temporale, a immergersi nelle atmosfere trasgressive dei Tabarin, dei Café Chantant più in voga in un Italia, basti pensare al Salone Margherita, luoghi frequentati da un pubblico urbano promiscuo, da artisti irregolari, da aristocratici decadenti, da parvenue, l’alcool scorreva a fiumi e le donne avevano modo di fare sfoggio di toilette in voga nelle grandi capitali.
Voce fuori campo: “La grande guerra, la vittoria, la pace, il dopoguerra ci regala sempre i suoi prodotti, tango e un tipo strano che nessuno avrebbe osato chiamare ballerino, ma danceur mondaine: bastone, cilindro, guanti bianchi, un frak.” In fondo all’arco di proscenio dove è allestito il palcoscenico del Tabarin, ecco che appare la silhouette di Gastone interpretato da Marcello Rimi, che fin dall’inizio darà prova del suo talento, offrendo una gestualità misurata, simbolo di una seduzione che va ben oltre la maschera che indossa. Ogni gesto: la fisiognomica del viso alzando il sopracciglio, o ammiccando, o ondeggiando le mani nell’aria, o ancora scivolando il piede sul palcoscenico accompagnando il peso del corpo su di un lato, o carezzando i capelli impomatati o i polsini della camicia rigorosamente bianca o il suo elegante frak, assurge ad uno stilema di riconoscimento, connota la sua maschera di viveur, che certamente richiama i due attori ispiratori, Sordi e Petrolini, ma diventa a sua volta un segno- simbolo personale destrutturandone quindi la pedissequa imitazione. Gastone si esprime con un argot blasonato con cadenza e musicalità romanesca e il suo interprete lo codifica con una disinvoltura che sbaraglia la manipolazione della recitazione naturalista. Marcello Rimi con la sua assoluta presenza è il conquistatore di donne, “emana fascino, è affranto, compunto, vuoto senza orrore di se stesso” è l’incarnazione dell’archetipo del seduttore: “cosa ce faccio io alle donne!” E’ innamorato della propria immagine, ostenta sicurezza, conosce il saper vivere, rifugge i sentimentalismi ritenendoli vuoti, è un personaggio fatuo meglio predare e vivere di sotterfugi, vanta un atteggiamento superomistico di dannunziana memoria che Petrolini del resto, nell’invenzione di questa maschera aveva salacemente deriso. Il suo alter ego è la figura del Principe nel film il ruolo era stato affidato a De Sica, in questo spettacolo è interpretato da Giuseppe Zappalà: per il protagonista è un confidente, un punto di riferimento, una sorta di padre, ne ammira l’eleganza, rappresenta una nobiltà decadente, l’ostinazione malinconica ad ammettere che quel mondo fatto di frivolezze è soggetto a mutare inesorabilmente, che la solitudine si nasconde dietro l’angolo, al di là delle apparenze alberga altro. L’amarezza è sottolineata in questo personaggio da posture stanche, da spalle ricurve che sostengono il peso di un passato nostalgico, di debiti e del vuoto del cuore.
(Giuseppe Zappalà)
Il gioco dello specchio e del rapporto dell’Animus-Anima pervade lo spettacolo, il cinismo di Gastone si manifesta nella manipolazione di uomini e donne, nelle sue trame di furbizie del “saper vivere” spinge Achille, interpretato da Pippo Bologna, che usa il proprio danaro illudendosi di ottenere favori amorosi così come gli viene consigliato dal gran viveur, ma riceve solo una girandola di schiaffi.
Cavallini- Mirko Bivona è il proprietario del Tabarin, si aggira tra i tavoli ostentando un’aria servizievole, gaudente per i suoi avventori e per i numeri di intrattenimento che propone.
(Pippo Bologna e Mirko Bivona)
Gastone Le Beau è l’Adone, ostenta solo il suo principio maschile Animus, controllato e calcolato, nascondendo bene la sua vera anima bisognosa di affetto e di un continuo riconoscimento esterno di qualcosa che non è solo arte ma cuore, cela la paura di amare. Meglio sedurre che essere sedotto, ordire trame per accogliere le prede che hanno necessità di attenzione, di una carezza, di vivere sotto le finte luci accecanti dei riflettori. Attorno al grande seduttore gravitano Sonia- Viviana Zappalà, duchessa straniera con cui duetta in una danza d’intrattenimento e poi civetta per ottenere favori. Le performance di quest’ultima non hanno più l’effetto desiderato è necessario una sostituzione che dia nuovo smalto allo spettacolo di Varietà proposto nel Tabarin. Da una bellezza glaciale e nordica si passa ad una più esotica Conchita- Sonia Prestigiacomo, attrice versatile, che conquista seppur per poco il favore del pubblico con un seduttivo flamenco. Sulla strada vive Mignonette – Caterina Tarantino, che da artista decaduta è costretta a vendere l’unica cosa che le rimane la sua bellezza. I dialoghi tra la donna e Gastone si svolgono sempre con il favore della notte e della strada, è il quadro vivente del tramonto, di sentimenti appena sussurrati, in cui il protagonista accentua la sua maschera illusoria di grand viveur ma la sua voce risuona afona, di disvelamento appena accennato.
Viviana Zappalà
Sonia Prestigiacomo
Caterina Tarantino
L’ultima donna chiave negli incontri fuggevoli di Gastone è Annina-Alessia Acquaviva, una servetta dal grande talento. Ecco L’Animus incontra l’Anima, il piacere artistico potrebbe trasformarsi in altro, ma Gastone non è ancora pronto a rivelare il proprio cuore, è convinto che lei proprio perché inesperiente non può debuttare senza il suo fondamentale supporto artistico; i tempi cambiano la freschezza di Annina ha le ali per spiccare il volo, soprattutto ha la grinta per mordere la vita e trasformarla. Annina è una soubrette in ascesa grazie al consenso del pubblico che ne riconosce entusiasta il talento e diventa Anna La Belle.
Alessia Acquaviva
Gastone Le Beau cede lo scettro ad Anna La Belle, il gioco dello specchio ritorna inesorabile, la seduzione si veste di Anima e risplende verso il cambiamento; è dalla capacità di abbandonare per perseguire il proprio sogno che sorge la nuova Artemide con coraggio e cuore, è sensuale, selvaggia, attraente, estroversa come Afrodite dea della bellezza e dell’amore; nessuno resiste al tuo fascino. Nell’interpretazione del ruolo ritroviamo veramente le caratteristiche della vedette del grande Varietà, presenza scenica, una piacevole voce quando canta un classico del repertorio delle canzonette “Come pioveva”, eleganza e verve nel ballo.
Epilogo, l’ascesa corrisponde ad una discesa e Gastone con il cuore spezzato continua ad aggrapparsi alla sua maschera di viveur, si allontana, un’ultima passeggiata ripetendo il clichè della sua inconfondibile gestualità, risale per l’ultima volta le scale: il palcoscenico è vuoto, canta le sue qualità per essere fedele al suo frak e all’immagine di sé, si spengono le luci su un’epoca …
Ringrazio Giuseppe Bellomare per le foto di scena potete ammirare il suo talento nella sua pagina Facebook
Ed ecco a voi una galleria di immagini che servono a ricordare altri momenti importanti di questo spettacolo:
Ivonne, la spogliarellista – Hefsiba Di Pasquale
L’impresario milanese che scoprirà il talento di Annina trasformandola in una vedette -Fabrizio Bondì
L’impresario che aiuterà Gastone a creare il suo Varietà nella sua ascesa e nella sua caduta.
In un Varietà che si rispetti in cui si susseguono una serie di numeri, la citazione è d’obbligo skech comico basato sul doppio senso, ben imitato da Francesco D’Amore; Fabiola Bologna
Gastone ha i suoi guoi anche con la giustizia. il commissario- Antonio Carnicella
Bello il filmato che scorre verso la fine del secondo tempo, che dà l’idea dell’ascesa e dei successi di Anna la Belle realizzato da Fabrizio Bondì.
Ecco il direttore e musicista – Dario Miranda
Segnalo poi la presenza della Signora Maria Zappalà che interpreta il ruolo della signora presso cui lavora Annina.
Uno spettacolo è fatto anche di persone che lavorano dietro le quinte e di prove, di preparazione, ciascuno ha il proprio ruolo importante che fa funzionare la meraviglia della macchina scenica
Tecnico Audio: Carlo Gargano
Tecnico Luci: Adriano Pollarolo
Costumi: Domenica Alaimo E Alessandra Passantino Belli
Direttore Palcoscenico: Angelo La Franca Scenografie: Luca Jalal